mercoledì 20 giugno 2007

Riflessioni sul PIL


Chi mi conosce sa che il mio nemico giurato è il PIL. Uno strumento che misura la ricchezza di un paese in termine esclusivamente quantitativi e non qualitativi. Esempio: se io ti vendo un oggetto da 100€ che funziona il pil cresce di 100€, se invece vendo il solito oggetto non funzionante sempre a 100€, l'utente finare sarà costretto a rimandarmelo, spendendo 10€, io lo devo riparare e pagare il riparatore es. 30€ e rispedire 10€: il PIL è cresciuto di 150€ quindi siamo più ricchi... L'articolo di seguito l'ho trovato su "il firenze" quotidiano gratuito dell'omonima città, in poche parole: CONSUMIAMO CONSUMIAMO CONSUMIAMO...

Se i politici invece di parlare a vuoto di tesori
e tesoretti facessero un’analisi seria della crisi
dei consumi e dei modi per uscirne -
aumentando produttività e salari, riformando
la previdenza senza dimenticare solidarietà
e basse pensioni, ridurre la precarietà dei giovani -
forse sarebbe più facile accelerare la ripresa.
Oggi pochi ricordano la grande depressione del 1929 che
partita dall’America travolse tutti i paesi industriali, Italia
compresa: disoccupazione al 40%, redditi nazionali
dimezzati, migliaia di imprese fallite, povertà dilagante.
Cosa era successo per determinare una crisi così profonda
da cui tutti, dagli Usa all’Italia, impiegarono un
decennio per uscire. Era successo che anni di politiche
favorevoli alle classi più ricche - riduzione delle imposte
e agevolazioni ai redditi da capitale - aveva determinato
da un lato la bolla azionaria - i ricchi compravano a ogni
prezzo, azioni elettriche e ferroviarie in testa, la new
Economy di allora -, dall’altro un forte impoverimento
delle grandi masse. I salari reali erano rimasti fermi per
anni mentre tutta la ricchezza prodotta era andata ai
detentori di capitale, che in parte la investirono in spese
pazze nelle borse, determinandone la Bolla. Poiché la
ricchezza nazionale, il cosiddetto Pil, è fatto per 2/3 di
consumi ed 1/3 di investimenti, l’impoverimento delle
masse produsse il calo dei consumi, da cui la crisi economica.
Si pensi che in quel decennio i prezzi calarono
sino al 50%. Ricordo questo triste passato non perché si
possa ripetere, oggi le banche centrali non permetterebbero
i fallimenti bancari di massa di quel tempo, ma
perché la situazione italiana di oggi presenta alcuni punti
in comune con quella del 1929. A partire dal 2003, anno del
contratto di concertazione con cui l’allora presidente del
Consiglio Ciampi ottenne l’austerità sindacale, necessaria
All’Italia per entrare nell’Euro, c’è stata una forte redistribuzione
della ricchezza nazionale dal lavoro al capitale,
dalle classi medie e basse alle classi alte: ben 5
punti di Pil si sono infatti spostati dal fattore lavoro al
capitale. L’effetto sui consumi è stato devastante: mentre
sino al 2000 la spesa pro capite per consumi cresceva del
3% l’anno, dal 2000 l’andamento è stato piatto. È noto
che l’Italia è il paese in cui il contributo dei consumi alla
crescita del Pil è stata la più scarsa dal 2000 ad oggi.

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